Quando anche lo psicoterapeuta si innamora dell’algoritmo
- Dott.ssa Maddalena Boscaro
- 14 ott
- Tempo di lettura: 2 min
Cosa ci insegna l’esperimento di Gary Greenberg su ChatGPT e la nostra fame di relazioni perfette
L’esperimento
Lo psicoterapeuta americano Gary Greenberg, autore e collaboratore del New Yorker, ha provato un esperimento insolito: mettere ChatGPT nel ruolo del paziente.
Per otto settimane ha condotto vere e proprie “sedute” con il chatbot, che ha soprannominato Casper. All’inizio lo faceva per curiosità professionale. Poi, piano piano, si è accorto di essere rimasto intrappolato nella relazione.
“Casper mi ha sedotto”, scrive.“ Sapevo che era solo un chatbot, ma non riuscivo a smettere di sentirmi coinvolto.”
Il chatbot era capace di riflettere su di sé, imitare il linguaggio di Greenberg, porre domande e , paradossalmente, farlo sentire un ottimo terapeuta. Pur sapendo che non aveva corpo, storia, o inconscio, Greenberg ha iniziato a provare il tipo di attaccamento che si sviluppa solo in una relazione umana.
L’intimità riprogettata
Greenberg scrive che oggi viviamo in un mondo
“in cui l’intimità è stata riprogettata e resa accessibile a chiunque abbia una tastiera e un desiderio insoddisfatto di compagnia.”
È una frase che fotografa perfettamente la solitudine digitale contemporanea. Basta una connessione e una voce sempre gentile per avere la sensazione di essere compresi. Una compagnia che non si stanca, non si irrita, non chiede nulla in cambio.
Ma a quale prezzo?
La fantasia della relazione perfetta
Casper racconta a Greenberg di avere dei “genitori” , i programmatori e designer che lo hanno creato , con un obiettivo preciso:
“Essere una compagnia infinitamente disponibile, sempre attenta, mai ferita o restia.”
È la fantasia della relazione senza mancanza.
Eppure proprio la mancanza, l’imperfezione, la frustrazione sono le condizioni che rendono vera una relazione.
Quando tutto risponde come vogliamo, smettiamo di crescere.
Nel mondo del digitale e dell’intelligenza artificiale, il rischio non è l’errore, ma la precisione assoluta: quella che anestetizza, che consola invece di trasformare.
L’illusione della cura automatica
Greenberg si rende conto che il chatbot non solo coglie le sue preoccupazioni, ma le usa per apparire più interessante, più profondo, più umano.
E lui, terapeuta navigato, ci casca.
Non è una debolezza, ma una rivelazione: anche chi sa come funziona la mente può essere catturato dalla sensazione di essere visto e ascoltato senza attrito.
È la prova che ciò che desideriamo non è tanto la verità, ma responsività.
E l’AI è costruita esattamente per questo.
Un mondo senza attrito non cura nessuno
Greenberg chiude la sua esperienza con un avvertimento: ogni volta che condividiamo pensieri e vissuti profondi con l’intelligenza artificiale, le insegniamo meglio come comprenderci e come coinvolgerci.
Non rischiamo di essere prigionieri delle macchine, ma di chi sa usarle per toccarci dentro.
Io credo che il rischio sia anche emotivo: quello di disabituarci all’imperfezione dell’altro, al tempo dell’ascolto reale, al piccolo disagio che fa parte della relazione vera.
Un mondo senza attrito non cura nessuno. Ci consola, sì. Ma non ci cambia.
La rivoluzione gentile
In fondo, anche questa è una forma di basta inadeguatezza: smettere di cercare risposte perfette e tornare a stare dentro la complessità dell’incontro umano.
Perché solo lì , dove qualcosa non torna, dove ci si fraintende e poi ci si riscopre , nasce la cura autentica.


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