Alison Darcy: quando la psicologia incontra l’intelligenza artificiale
- Dott.ssa Maddalena Boscaro
- 21 ott
- Tempo di lettura: 2 min
C’è una donna che, negli ultimi anni, ha rivoluzionato il modo in cui pensiamo la salute mentale.
Non lo ha fatto chiudendosi in un laboratorio o inventando una nuova teoria.
Lo ha fatto mettendo insieme due mondi che, fino a poco tempo fa, sembravano inconciliabili: la psicologia e la tecnologia.
Il suo nome è Alison Darcy.
Psicologa clinica irlandese, ricercatrice, e fondatrice di Woebot Health — il primo chatbot terapeutico creato per accompagnare le persone nei momenti di ansia, tristezza o stress quotidiano.
Un’idea semplice
Darcy non voleva sostituire il terapeuta, ma offrire una presenza costante.
Un piccolo alleato digitale capace di chiederti “come stai” anche quando è mezzanotte e non c’è nessuno sveglio.
Un’intelligenza artificiale addestrata sui principi della terapia cognitivo-comportamentale, capace di guidarti — passo dopo passo — a riformulare i pensieri più rigidi e a respirare di nuovo dentro di te.
Quando ha iniziato, molti colleghi la guardavano con sospetto.
“Una macchina non potrà mai capire l’essere umano.”
E lei, con calma, ha risposto:
“Non deve capire come noi.
Deve solo esserci quando nessun altro può.”
Le sue radici
Prima di fondare Woebot, Alison Darcy ha studiato psicologia clinica alla University College Dublin e poi alla Stanford University, dove ha approfondito i disturbi alimentari e la relazione mente-corpo.
Proprio lì ha incontrato alcuni tra i pionieri dell’intelligenza artificiale e ha iniziato a chiedersi:
“E se la tecnologia potesse diventare una forma di cura accessibile a tutti?”
Le critiche e la forza della visione
Ogni innovazione porta con sé giudizi.
C’è chi la accusava di voler “automatizzare la terapia”, di ridurre la complessità umana a un algoritmo.
Eppure, lei non si è difesa con slogan: si è difesa con i dati, con la ricerca e con la trasparenza.
Ha pubblicato studi che mostrano come un agente conversazionale possa effettivamente ridurre i sintomi di ansia e depressione, e come le persone sviluppino una vera e propria alleanza terapeutica anche con un assistente digitale.
Un legame che non sostituisce il terapeuta umano, ma che può integrarlo, allargare lo spazio della cura, raggiungere chi non avrebbe mai chiesto aiuto.
Uno sguardo al futuro
Oggi Alison Darcy è considerata una delle 100 persone più influenti nel campo dell’Intelligenza Artificiale secondo TIME.
Ma la cosa più bella è che, nonostante il riconoscimento, continua a parlare di empatia, etica e umanità.
Il suo sogno è portare la salute mentale a chiunque, ovunque, con la stessa delicatezza con cui una terapeuta ti ascolterebbe dal vivo.
E immagina un futuro in cui le app non ci isolino, ma ci insegnino a connetterci meglio con noi stessi e con gli altri.
Perché parlarne qui
Perché la storia di Alison Darcy ci ricorda che la psicologia non è solo uno studio sul dolore, ma anche una tecnologia del bene.
Che l’innovazione non è nemica della cura.
E che, quando mettiamo l’umano al centro — anche dentro un algoritmo — la scienza torna a essere ciò che dovrebbe sempre essere: un atto d’amore intelligente.
Forse il futuro della cura non è solo digitale o umano. È entrambe le cose, se restiamo presenti.

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